Etichettato: Demanio marittimo

L’opera abusiva compiuta su terreno demaniale deve essere rimossa nonostante la sua esiguità. T.A.R. Calabria Reggio Calabria, Sentenza 28 settembre 2015, n. 926

Un soggetto costruisce un immobile e ne condona poi taluni abusi edilizi ai sensi delle leggi allora vigenti (si parla del primo condono del 1985). Istruendo la pratica per il condono, il Comune di Reggio Calabria ebbe modo di accorgersi che la recinzione dell’edificio aveva sconfinato per pochi metri sulla superficie demaniale marittima. Nella porzione di demanio adiacente alla recinzione era stato poi realizzato una sorta di “scivolo”, per consentire un più facile accesso alla spiaggia.
Il comune ordinò (nel 2010) al proprietario dell’immobile che aveva richiesto la sanatoria la demolizione delle opere sulla porzione demaniale. Lo stesso propose ricorso contro il provvedimento affermando innanzitutto di non aver realizzato lo “scivolo”, che restava fuori dalla ricezione della sua proprietà e pertanto utilizzabile da chiunque. In secondo luogo, evidenziava come la particolare esiguità dell’intervento e l’esistenza dello stesso da diversi decenni erano circostanze che avrebbero dovuto essere poste in comparazione dall’autorità amministrativa procedente con l’interesse pubblico alla tutela del suolo demaniale.

Il Tar di Reggio Calabria respinge il ricorso su entrambi i profili. Quanto al primo, rileva come l’opera sia stata realizzata in corrispondenza di uno dei cancelli d’accesso alla recinzione di esclusiva pertinenza dell’edificio di proprietà del ricorrente, tale quindi da poter ritenere che lo scivolo stesso servisse esclusivamente o, quantomeno, prevalentemente ad esso. Quanto al secondo, il rilievo della assoluta inusucapibilità del demanio fa sì che la pubblica amministrazione abbia sempre vita di agire contro l’occupazione abusiva dello stesso a prescindere dal momento in cui detta occupazione si sia compiuta.

T.A.R. Calabria Reggio Calabria, Sentenza 28 settembre 2015, n. 926

L’ottemperanza ad una sentenza di rigetto di concessione demaniale apre la porta ad altri richiedenti oltre al ricorrente. T.A.R. Puglia Lecce Sez. I, Sentenza 7 ottobre 2015, n. 2880

Un’interessante sentenza del Tar Puglia, sezione di Lecce, destinata a far discutere.
I fatti: un soggetto richiede al Comune di Gallipoli una concessione demaniale per l’installazione di un chiosco da adibire a bar. Il Comune la rifiuta, e il richiedente propone ricorso dinanzi al Tar, che decide in suo favore e annulla il provvedimento di rigetto.
Successivamente alla sentenza, il Comune di Gallipoli, senza procedere a un vero e proprio bando, pubblica sull’albo pretorio la domanda del richiedente, concedendo il termine di 20 giorni per la presentazione di osservazioni, reclami o ulteriori domande di concessione.
Spirato il termine, altri quattro soggetti chiedevano la concessione demaniale dello stesso tratto di litorale.

Il ricorrente chiedeva quindi l’ottemperanza della sentenza a lui favorevole, nel frattempo passata in giudicato; il Tar, con sentenza del gennaio di quest’anno, ordinava  al Comune di Gallipoli di ottemperarvi, e pertanto di adottare un “provvedimento conclusivo relativamente alla richiesta formulata dalla ricorrente per il rilascio di una concessione demaniale”, nominando un commissario ad acta per dare esecuzione al giudicato. L’amministrazione comunale rimase inerte e il commissario si insediò nella carica, ma senza adottare il provvedimento dovuto perché, nel frattempo, uno dei successivi richiedenti proponeva ricorso al Tar perché questi stabilisse che il procedimento per l’ottemperanza proseguisse con la comparazione delle istanze di concessione demaniale.

Il Tar giudica in favore di questo nuovo ricorrente, stabilendo che l’ottemperanza verso la sentenza che annulla un provvedimento di diniego di una concessione demaniale non si traduce per ciò stesso in un obbligo di rilasciare la stessa concessione, ma nella necessaria comparazione di tutte le domande presentate.
Una soluzione che avrebbe però dovuto implicare, a monte, che il dispositivo della sentenza da eseguire contenesse un cenno in tal senso.

In questo modo, il Tar finisce difatti per legittimare una sorta di procedura evidenza pubblica condotta “a posteriori” dal Comune e priva di molti dei requisiti di legge.

T.A.R. Puglia Lecce Sez. I, Sentenza 7 ottobre 2015, n. 2880

La nuova legge regionale del Lazio sulle concessioni di demanio marittimo a fini turistico ricreativi. L.R. 26 giugno 2015 n. 8.

E’ stata approvata lo scorso 26 giugno la L.R.Lazio n. 8, recante “Disposizioni relative all’utilizzazione del demanio marittimo per finalità turistiche e ricreative. Modifiche alle legge regionale 6 agosto 2007, n. 13, concernente l’organizzazione del sistema turistico laziale, e successive modifiche”.

Pubblichiamo il testo in vigore della L.R. Lazio n. 13  del 29 aprile 2007, aggiornato con le modifiche di giugno.

Le principali novità sono date dalla previsione di una classificazione comunale delle aree demaniali marittime, dei manufatti e delle pertinenze e specchi d’acqua destinati a finalità turistiche (art. 46 bis), nonché dalla possibilità che la concessione demaniale venga utilizzata per tutto l’anno.

A tal fine, il nuovo art. 52 bis prevede che il Comune possa autorizzare il concessionario a mantenere le strutture difficile rimozione per tutta la durata della concessione.

Il cardine del sistema rimane sempre il PUA (Piano di Utilizzazione delle Aree del demanio marittimo), ma il nuovo art. 53 bis impone ai comuni l’obbligo di trasparenza quanto alle concessioni attribuite e, sopratutto, l’obbligo di istituire procedure a evidenza pubblica non solo per il rilascio delle nuove concessioni, ma anche di affiancamento di altri soggetti nella concessione in essere come di subingresso.

L’accertamento dell’erroneo inserimento di un terreno nel demanio marittimo priva di titolo la domanda di usucapione e quella di avvenuta sdemanializzazione. Cass. civ. Sez. II, Sentenza 11 giugno 2015, n. 12155

Un privato ottiene in concessione fin dal 1961 un terreno prospiciente il mare, compreso entro il confine del demanio marittimo. Vi costruisce, e dopo anni il proprietario privato confinante (la Società delle Bonifiche Sarde) chiede che venga riconosciuta la sua proprietà di una parte del terreno su cui il fabbricato è edificato, dichiarandosi disposta a versargli l’indennità prevista dall’art. 938 c.c..

Il privato agisce dinanzi al Tribunale, che gli dà torto, ravvisando che il terreno da lui chiesto in concessione decenni prima non era in realtà demaniale né lo era mai stato, non potendo, anche per la sua soprelevazione, ritenersi parte del “lido del mare”.

La Cassazione dichiara incensurabile dinanzi a sé questa valutazione, e ne fa discendere alcune conseguenze molto importanti per la ricostruzione giuridica dell’istituto del demanio marittimo.

La prima: la pronuncia con cui si accerta l’inesistenza in un dato terreno delle qualità naturali proprie del demanio marittimo non comporta la sdemanializzazione del bene, né la sua trasformazione da bene demaniale in bene del patrimonio disponibile. Tale accertamento, prosegue la Corte, può derivare solo da una domanda tendente a riconoscere una diversa  proprietà  sul bene, e si risolve pertanto in una ridefinizione di confini tra la proprietà pubblica e quella privata finitima.

La seconda: il possesso pacifico e ininterrotto di un bene che si crede da tutti demaniale non vale a fare acquistare al possessore la proprietà dello stesso. Finché il bene è ritenuto essere di demanio marittimo, esso si crede perciò non alienabile e non usucapibile: manca quindi al possessore l’animus possidendi, per come gli manca il requisito della buona fede nei confronti del terzo rivendicante, visto che anche questi era convinto che il bene non potesse essere usucapito da alcuno.

 

 

Cass. civ. Sez. II, Sentenza 11 giugno 2015, n. 12155

Il ritirarsi della battigia non comporta necessariamente l’estinzione della concessione demaniale. Il ruolo decisivo della consulenza tecnica d’ufficio. T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. I, Sentenza 29 aprile 2015, n. 758

L’articolo 45 del Codice della navigazione stabilisce che ove i beni del demanio marittimo dati in concessione subiscano modificazioni per cause naturali,  il canone venga ridotto ove tali modificazioni restringano l’utilizzazione della concessione, che invece si estingue nel caso in cui  le modificazioni siano tali da renderne impossibile l’uso.

Sulla base di questo articolo un comune  revocava la concessione di un tratto di spiaggia,  affermando che la stessa si sarebbe ristretta enormemente a causa di forti mareggiate. Il concessionario propose ricorso, evidenziando come il restringimento dell’arenile fosse di modeste proporzioni e non impedisse, in ogni caso, l’utilizzo della concessione demaniale.

Il Tar di Catanzaro ha disposto  una Consulenza tecnica d’ufficio,  mezzo istruttorio oggi ammesso dal 2010 dal Codice del processo amministrativo, con una forte innovazione rispetto alle regole processuali precedenti, che lo negavano. La consulenza ha verificato come effettivamente le mareggiate avessero eroso la spiaggia solo in piccola parte, e come la stessa fosse ancora pienamente utilizzabile. Da qui l’annullamento dell’atto impugnato, emesso in flagrante carenza dei presupposti.

La pronuncia mostra come la c.t.u. – strumento ancora ritenuto poco consono al giudizio amministrativo- possa trovare un campo d’elezione nei ricorsi per le concessioni demaniali marittime le quali, basandosi su dati tecnici oggettivi, ben possono essere verificate dal giudice amministrativo su questo piano, senza che la sua valutazione si sostituisca a quella dell’amministrazione.

T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. I, Sentenza 29 aprile 2015, n. 758

L’attività economica libera non è soggetta ad autorizzazione anche se condotta su area demaniale. T.A.R. Sicilia – Catania Sez. II, Sentenza 13 febbraio 2015, n. 464

Il Tar Sicilia chiarisce con questa sentenza che la concessione di demanio pubblico non può essere condizionata dal preventivo o successivo rilascio di autorizzazione per l’esercizio dell’attività economica funzionale alla concessione stessa, atteso che, a legislazione vigente, le attività economiche non devono più ritenersi soggette a preventiva autorizzazione, salvo che non sia stato espressamente disposto dalla legge.
La sentenza è stata pronunciata su una vicenda particolarmente intricata: un privato aveva chiesto all’Ufficio del Demanio marittimo di Catania il rilascio di una concessione demaniale marittima per l’installazione di un chiosco per la somministrazione di alimenti e bevande, in una località posta nel Comune di Catania. Ottenuta la concessione, dal 1 luglio 2011 al 31 dicembre 2015, il privato chiedeva al comune di Catania il titolo edilizio abilitativo all’installazione del chiosco, che veniva rilasciato il 12 luglio del 2012, a fronte di una richiesta fatta quasi sette mesi prima. Il privato non poté comunque costruire subito il chiosco, perché la Direzione attività produttive del Comune di Catania aveva presentato una sua nota nel procedimento di rilascio dell’autorizzazione edilizia, eccependo una serie di rilievi. A fronte di un’attività difensiva del privato richiedente, la stessa direzione attività produttive archiviava le sue deduzioni con provvedimento del 13 dicembre 2012.
Oramai sfumate quindi due stagioni estive di possibile utilizzo dell’infrastruttura, il privato si disponeva finalmente alla costruzione del chiosco il 1 giugno 2013, ma doveva fermarsi subito, perché raggiunto dalla comunicazione dell’Ufficio del Demanio emanata il giorno precedente, con cui si dava avvio al procedimento di revoca della concessione demaniale appunto per la tardiva installazione del chiosco. Anche questo scoglio fu superato, avendo il privato dimostrato che il ritardo nell’installazione dell’infrastruttura su area demaniale non dipendeva dalla sua volontà, ma dal protrarsi del procedimento amministrativo.

Il privato iniziava così la sua attività, presentando al Comune di Catania una SCIA – Segnalazione certificata di inizio attività-  e chiedendo all’Ufficio del Demanio di considerare oramai assentita, stante il perdurante silenzio di oltre due anni, la sua richiesta di utilizzare l’area per tutto l’anno, e non più per la sola stagione estiva.

Il Comune di Catania rispondeva che la SCIA doveva ritenersi inefficace, poiché l’attività del chiosco sarebbe stata comunque soggetta ad autorizzazione proprio in quanto ricadente su area pubblica.

L’Assessorato Territorio ed Ambiente della Regione Sicilia, da cui dipende l’Ufficio del Demanio, rispondeva poi che il silenzio assenso non era previsto da alcuna legge per le richieste espletate “ai sensi dell’articolo 24 del regolamento al codice della navigazione” e invitava pertanto il privato a smontare il chiosco e a sgombrare l’area per la stagione invernale, pena la decadenza dalla concessione.
Il privato provvedeva effettivamente a sgombrare l’area, per non soggiacere alle sanzioni penali per l’abusiva occupazione del suolo demaniale, ma proponeva ricorso dinanzi al Tar affidato a numerosi motivi di gravame.
Il Tar non si è pronunciato sul provvedimento dell’Assessorato Territorio e Ambiente, dichiarando lo stesso improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse atteso che lo stesso aveva, in corso di procedimento, comunque modificato la concessione demaniale, dando la possibilità al ricorrente di usufruire dell’area per il periodo “previsto per la balneazione nella Regione Sicilia”, più lungo e comunque diverso da quello originariamente oggetto di concessione, senza che il ricorrente avesse presentato motivi aggiunti.

Pronunciandosi sul provvedimento del Comune di Catania, il Tar accoglie il ricorso affermando che, in particolare dopo l’articolo 1 del decreto-legge 24 gennaio 2012 n. 1, convertito con legge 24 marzo 2012 n. 27 (cd. “decreto liberalizzazioni”) l’attività di somministrazione di alimenti e bevande del ricorrente non poteva ritenersi soggetta ad autorizzazione, e che rispetto a ciò nulla valeva il fatto che fosse esercitata su un’area pacificamente di demanio pubblico.
La sentenza è dunque importante proprio perché esclude che il regime demaniale dell’area su cui si svolge una determinata attività produttiva possa in sé incidere sulla disciplina della stessa: se questa è di libero esercizio, non lo è di meno per avvenire su area demaniale.

 

T.A.R. Sicilia Catania Sez. II, Sent., 13-02-2015, n. 464

L’area comunale gravata da usi civici non può essere rivendicata dal Comune in via amministrativa, ma solo in via civile. T.A.R. Puglia Lecce Sez. I, Sent., 19-06-2014, n. 1524

Il T.A.R. Lecce stabilisce che la rivendica di terre di demanio civico deve essere fatta nel rito ordinario di cognizione, e dinanzi al giudice civile, e non in via di autotutela amministrativa, ex art. 823 secondo comma C.c., ipotesi limitata ai beni di demanio pubblico, come tassativamente elencati dall’art. 822.

Il fatto: una società esercita un ristorante  su un immobile del Comune, e riceve ordinanza di sgombero e di rimessa in pristino dei luoghi da parte dello stesso Comune, su istanza della Capitaneria di Porto, che afferma che l’area è di demanio marittimo. Il ricorrente allega numerosi motivi di illegittimità dell’atto impugnato e degli atti presupposti; tra questi, il più importante è quello che verrà poi accolto dal Collegio: l’area non è di demanio marittimo, ma è proprietà del Comune in quanto gravata da usi civici e assegnata per questo alla categoria A della l. 1766 del 1927.

La conseguenza è, a giudizio del ricorrente con tesi poi accolta dal T.A.R., che il Comune non aveva potere di recuperare l’area in autotutela amministrativa, ma poteva farlo solo con l’ordinaria rivendica in sede civile.

La sentenza ha un precedente nella pronuncia del Consiglio di Stato 28-01-2011, n. 653. In quella sede il Comune di Gallipoli aveva impugnato una concessione fatta dalla Capitaneria di Porto di quella che, a suo giudizio, non era area di demanio marittimo, ma di uso civico. Il Consiglio di Stato affermò la giurisdizione commissariale, essendo la questione relativa alla qualità demaniale civica presupposto necessario della decisione sulla legittimità della concessione.

Nel caso giudicato dal  T.A.R. Lecce la demanialità civica risulta definitivamente accertata dal Commissario con una sentenza del 1980, e non più discutibile. Non essendo contestabile la titolarità dell’area al Comune, la questione in giudizio si risolve, a giudizio del T.A.R., sulle legittime modalità di recupero dell’area, che deve avvenire nelle forme ordinarie della rivendica.

Va evidenziato che la proprietà comunale dell’area di uso civico può derivare solo dall’assegnazione a categoria. L’esistenza di usi civici esplica difatti effetti anche contro un acquisto per usucapione dell’area da parte dello stesso ente territoriale che se ne vedrebbe assegnata la proprietà all’esito della sentenza commissariale, per come si riscontra da ultimo in Cass. civ. Sez. II, Sent., 15-05-2012, n. 7564.

T.A.R. Puglia Lecce Sez. I, Sent., 19-06-2014, n. 1524

Cass. civ. Sez. III, Sent., 19-03-2014, n. 6345. L’indennità di occupazione del suolo demaniale è dovuta anche in assenza di previa delimitazione dell’area.

Con la sentenza di seguito riportata la Cassazione stabilisce, sulla scorta di numerosi suoi precedenti, che la delimitazione dell’area demaniale ex art. 32 del Codice della Navigazione non è presupposto necessario per la richiesta, da parte della P.A., dell’indennità di occupazione.
A giudizio della Suprema Corte, la procedura dell’art. 32 C.Nav. è l’esatto equivalente dal punto di vista amministrativo dell’azione per regolamento di confini di cui all’art. 950 C. c., può concludersi con l’accordo delle parti e essere disapplicata dal giudice ordinario quando la si provi viziata, ma resta atto puramente discrezionale della P.A., che può disporlo o meno prima di chiedere l’indennità di occupazione.
La sentenza non pare porsi il problema dell’interpretazione dell’art. 32 del Codice della Navigazione alla luce dei principi della l. 242/90 sul procedimento amministrativo, e questo è certamente il suo maggiore limite. Fatto salvo che il bene demaniale non è usucapibile, resta vero che il procedimento di delimitazione del confine tra una proprietà privata e una demaniale è per definizione un procedimento amministrativo, atteso che coinvolge necessariamente l’amministrazione. Il privato ha quindi il diritto a che questo procedimento sia attuato prima di corrispondere alle richieste della P.A. sopratutto ove, come nel caso di specie, il bene demaniale non figura come tale al catasto.
Cass. civ. Sez. III, Sent., 19-03-2014, n. 6345

Il secondo emendamento del PD. Dividi (la spiaggia) e vendi (il demanio).

Demanio significa proprietà inalienabile, imprescrittibile e, sopratutto, indivisibile dello Stato.

Giova ripetere ogni tanto i concetti fondamentali, perché vi è chi non li vuole capire. In sintesi: non basta che una cosa sia dichiarata inalienabile perché non venga sottratta a chi per legge deve esserne proprietario. Occorre anche che non se ne possa acquistare la proprietà con il possesso protratto per lungo tempo, altrimenti chi occupa il demanio si avvantaggerebbe dell’inerzia dello Stato, e che non la si possa dividere, perché altrimenti il demanio si ridurrebbe a simbolo, mentre la sostanza economica della cosa diventa privata.

Appena condiviso dal PdL, il primo emendamento PD viene ritirato e sostituito con un secondo emendamento PD, che cambia totalmente la prospettiva di regolamentazione, per arrivare tuttavia agli stessi risultati.

Il tentativo è ora quello di cambiare l’articolo 822 del Codice civile  inserendo dopo il primo comma  tre definizioni: lido del mare, spiaggia, arenile.  I primi due  compaiono nell’elenco dei beni demaniali di cui al primo comma dell’articolo. La loro definizione fu lasciata alla giurisprudenza, che ha costantemente inteso il lido come la parte di costa continuamente bagnata dal mare, ad eccezione delle mareggiate, e per “spiaggia” la parte retrostante, da cui il mare si è ritirato, anche se vi può ritornare in presenza di tempeste. Non fu mai definita una nozione di “arenile” che, nell’impianto dell’emendamento, assurgeva invece un ruolo fondamentale.

Si definiva infatti con questo termine “il tratto di terra dal quale il mare si è ritirato da tempo immemorabile o da non meno di cinquanta anni che, previa delimitazione, può essere trasferito al patrimonio disponibile dello Stato. Su di esso, l’autorità amministrativa può costituire diritti a favore di terzi con particolare riguardo alle attività imprenditoriali esistenti ed ai programmi di utilizzazione del bene.” La stessa norma sarebbe stata riprodotta nell’art. 28 del Codice della navigazione.

Cosa avrebbe distinto la spiaggia, non vendibile, dall'”arenile”, su cui si sarebbero potuti “costituire diritti a favore di terzi”? Evidentemente l’essere o meno invasa dal mare con le mareggiate. Quanto sia opinabile un tale criterio è evidente e con ciò anche la tutela del bene demaniale. Con una norma del genere quasi tutto di una spiaggia può essere alienato, anche attraverso la costituzione di diritti reali, a discrezione di imprecisate “autorità amministrative”.

Dismissione spiagge: il diavolo è sempre nei dettagli (terminologici).

Ho già pubblicato un post sul primo emendamento PD alla Legge di stabilità, con cui si sarebbero dismesse in proprietà privata molte spiagge.

Un aspetto di questo emendamento va però evidenziato con forza:  l’ignoranza della terminologia tecnica del diritto demaniale e la superficialità nel suo utilizzo. L’emendamento avrebbe dato opzione per l’acquisto di aree comprese tra la “dividente demaniale” e la “linea di costa”. Così dicendo la norma sembrava riferirsi alla parte dell’arenile più lontana dalla battigia, in genere interessata dalle opere che ne avrebbero fatto perdere la caratteristica demaniale, per eccettuarne la parte prossima al mare, che il nuovo proprietario avrebbe avuto in concessione a condizioni di favore.

Il punto è che per “dividente demaniale” si intende (con una terminologia che non è stata sinora di legge, ma elaborata dalla  prassi dall’art. 28 del Codice della navigazione) una cosa diversa da quella presupposta dall’emendamento: la linea di confine tra la spiaggia demaniale e la proprietà privata di terzi o pubblica di altre amministrazioni. In molte città la dividente demaniale è la linea che divide la spiaggia dalla strada comunale costruita per portare i bagnanti al mare.  La “linea di costa” è invece la linea che separa il mare dalla terraferma. Essa non costituisce un termine certo, potendo essere mutata nel tempo da opere artificiali (moli portuali, banchine, etc.) o andare soggetta all’erosione del mare, come a naturali accrescimenti. Ciò che più importa, la “linea di costa” coincide con la battigia, e anzi va spesso oltre, inglobando aree recentemente erose dal mare.

Ne deriva che, contrariamente alle sue intenzioni, il primo emendamento PD avrebbe potenzialmente consentito l’alienazione  di tutto l’arenile se l’occupante vi avesse costruito per tutta la sua estensione. L’abuso peggiore premiato con il premio migliore: un diritto di opzione all’acquisto di tutta l’estensione in larghezza della spiaggia, dalla strada al mare. Se si vuole trovare il diavolo, lo si cerchi nei dettagli.